Studiare negli USA grazie al Tennis? Sì, ma con attenzione!

Tutto quello che c’è da sapere per studiare negli USA grazie al tennis e costruirsi una carriera da manager, oppure… entrare nella Top100!

22 settembre 2023

Insistere con il tennis o concentrarsi sullo studio? È questo il dilemma che si trovano davanti i tennisti e le tenniste di talento fra i tredici e i sedici anni, quando i risultati positivi ottenuti sul campo iniziano a diventare inconciliabili con quelli da raggiungere sui banchi di scuola.

Per nulla aiutati da un sistema scolastico totalmente impreparato a sostenere le ambizioni sportive dei propri alunni, i ragazzi e le ragazze devono affrontare coi genitori una scelta che influenzerà il loro futuro: credere nel proprio talento e puntare tutto sullo sport, oppure ridurre l’impegno e dedicarsi a tempo pieno alla carriera scolastica?

La prima consapevolezza è che la via di mezzo non porta da nessuna parte. La seconda è che neanche le altre due scelte, al giorno d’oggi, danno ragionevoli garanzie di successo, anzi.

L’aspirante tennista sa di dover investire nel proprio progetto dai quindici ai trentamila euro all’anno per potersi permettere ciò che è indispensabile alla propria crescita, come un buon coach, i viaggi, gli allenamenti, eccetera.

E sa anche che per garantirsi una relativa autosufficienza economica dovrà entrare e restare nella Top 100 mondiale, che rappresenta circa lo 0,5 per cento dei professionisti attivi.

E per finire è consapevole che a carriera terminata – sempre che questa non si interrompa prima per un infortunio – le sue prospettive di reddito saranno molto limitate, essendo la carriera scolastica ormai tramontata e anche quella di maestro, sempre più specializzata, tutt’altro che scontata. Non che con le carriere tradizionali vada meglio, sempre più spesso neanche il conseguimento di una laurea costituisce una garanzia per l’ottenimento di un impiego.

Ma in questo scenario di grande complessità, esiste invece un percorso che proprio attraverso lo sport permette di ottenere sbocchi sia di tipo lavorativo che sportivo, spesso insieme. Si tratta del College Tennis. Il College Tennis è parte della NCAA (National Collegiate Athletic Association), l’organizzazione senza fini di lucro che gestisce gli atleti, americani e non, iscritti ai programmi sportivi dei college.

Nata nel 1973, la NCAA è strutturata in tre divisioni denominate D-1, D-2 e D-3, le prime due delle quali possono offrire borse di studio a copertura parziale o totale delle rette scolastiche nelle università di appartenenza.

L’importo totale delle borse ammonta a circa 46 miliardi di dollari all’anno, una cifra esorbitante per i criteri europei, ma assolutamente proporzionata al volume di affari generato dal sistema scolastico statunitense.  

Ognuna delle 314 scuole della Division-1, ad esempio, può offrire dodici borse di studio per ciascuno sport che vi si pratica, di un importo variabile dai quindici ai centomila dollari per ognuno dei due semestri in cui sono divisi i quattro anni di studio.

In altre parole, un giocatore o una giocatrice che vengono selezionati dal coach di una squadra di College Tennis può frequentare l’università di quella squadra avendo tutta o buona parte della retta pagata. Il Tennis, perciò, diventa lo strumento per garantirsi tutta o parte della formazione universitaria negli Stati Uniti, la quale a sua volta apre le porte a un’infinità di opportunità.


IL PERCORSO DI SELEZIONE

Come prevedibile, entrare in una squadra del College Tennis e per di più con una borsa di studio è un obiettivo ambito dai ragazzi e dalle ragazze di tutto il mondo, pertanto la concorrenza è molto agguerrita. Tuttavia, il sistema americano è del tutto improntato alla meritocrazia per cui se si hanno le qualità giuste e soprattutto se si fanno le cose giuste, avere successo non è affatto impossibile.

Lo sa bene Mattia Pastore, che è stato un ottimo giocatore di College e che proprio durante gli studi ha fondato UNI Student Advisors, un’agenzia che aiuta i ragazzi e le ragazze che vogliono andare in America a fare tutte le mosse giuste per riuscirci. Tornato in Europa, Mattia ha conseguito ben due Master ed è diventato un giovane imprenditore internazionale di grande successo. Un ottimo esempio perfetto di dove possa arrivare un giovane tennista disposto a impegnarsi.

La prima cosa da sapere se si vuole candidarsi a una borsa di studio”, ci racconta, “è quella di muoversi per tempo”.

La composizione e la distribuzione delle borse varia a seconda della scuola, e le offerte ai giovani atleti possono essere fatte anche un anno e mezzo prima della partenza del semestre. Quindi, il terzo e il quarto anno delle scuole superiori è il momento giusto per iniziare il percorso di selezione. Che è lungo e complesso, ma non impossibile, specie se si ha una buona conoscenza della lingua inglese. Nelle sue “Basic Recruiting Information” la USTA (United States Tennis Association) fornisce tutte le informazioni riguardanti il processo di selezione, che avviene online e che può essere gestito autonomamente se non si hanno le competenze (anche linguistiche) necessarie.

In ogni caso, è possibile appoggiarsi a una delle molte agenzie specializzate che per una cifra di alcune migliaia di euro offrono servizi di questo tipo, seguendo i ragazzi dal primo all’ultimo step.

Ma bisogna fare attenzione” suggerisce Mattia, “perché non tutte le Agenzie hanno lo stesso livello di affidabilità. Bisogna fare attenzione ad alcuni elementi che devono insospettire, come la richiesta di firmare un accordo in esclusiva o l’impossibilità di contattare altri ragazzi che in precedenza hanno usufruito degli stessi servizi. E soprattutto, non devono esserci garanzie di successo. L’ottenimento di una Scholarship dipende da moltissimi fattori, primo fra tutti le esigenze delle scuole, e quindi nessuno può avere la certezza di ottenerlo”.

Ai consigli della USTA se ne aggiunge uno ancora più determinante che non si trova in nessuna application: provare se possibile l’esperienza in anticipo.

Ce ne parla con grande passione Claudio Pistolesi, ex numero uno juniores, campione italiano di singolo, ottimo professionista e poi coach di professionisti del calibro di Monica Seles, Simone Bolelli e Daniela Hantuchova.

È importante che i ragazzi capiscano subito che dovranno uscire dalla propria comfort zone, preparandosi a una situazione in cui la famiglia non sarà presente. Dovranno esprimersi bene in una lingua che non è la loro, relazionarsi con persone provenienti da culture diverse in cui anche il modo di intendere una battuta, ad esempio, è diverso. Ma anche cavarsela da soli quando si tratta di rifarsi il letto, fare il bucato e fare acquisti, saper gestire il tempo senza sprecarlo, fare la doccia rapidamente per poi lasciarla libera e pulita al proprio compagno di stanza. Tutte cose che, se provate in anticipo, danno la possibilità di capire prima se le sfide del progetto-College sono alla propria portata”. Ed è proprio questa una delle mission della Claudio Pistolesi Enterprise, la società che Claudio ha fondato insieme alla moglie Cristina a Jacksonville, in Florida, e che ha già aiutato più di cinquanta ragazzi ad avvicinarsi al College Tennis.

Claudio Pistolesi

L’idea è nata nel 2013, ma ha preso forma guardando crescere mio figlio adottivo Yannick come giocatore di College e soprattutto facendo a mia volta il coach. All’epoca gli italiani che si candidavano per le borse di studio erano pochissimi, ma mi resi subito conto che non c’era nessun motivo per cui anche i nostri ragazzi, se ben preparati, non potessero ambire alle stesse opportunità. Per cui ho iniziato a lavorarci, aprendo una strada che poi nel tempo si è dimostrata vincente per i ragazzi e le loro famiglie. Ora nella nostra struttura ogni estate almeno venti ragazzi arrivano per provare l’esperienza e prepararsi alle selezioni. Di questi, circa la metà poi al College ci va davvero, e soprattutto lo porta a termine, e questa è la nostra più grande soddisfazione. Vivono l’esperienza del college ancora prima del College, ne capiscono i meccanismi, si confrontano in campo coi loro giocatori, lavorano sui propri punti deboli e infine conoscono i coach migliori, che in genere sono ex-giocatori e che io conosco personalmente in virtù della mia carriera di coach e di Pro.”

Consapevole del proprio ruolo, la CPE agevola i ragazzi che lo meritano creando percorsi personalizzati, e anche collaborando con iniziative non-profit come “Fallo di piede” (link all’articolo di TennisTalker), che quest’anno per la prima volta in Italia ha lanciato un bando destinato proprio ai ragazzi che volevano avvicinarsi al College Tennis.

Ci siamo trovati subito in perfetta sintonia con gli organizzatori di questa bella manifestazione, ed abbiamo partecipato con grande piacere. Questo luglio abbiamo avuto qui con noi per due settimane Matilde Ercoli e Marco Lorenzon, due sedicenni molto promettenti che grazie a questo programma hanno prima lavorato con dei manager sugli aspetti attitudinali e motivazionali, e poi ci hanno raggiunto in Florida per partecipare ai nostri programmi. E sono tornati a casa non solo con un bagaglio tecnico aumentato, ma con un’esperienza umana splendida, la consapevolezza di poter tornare l’anno prossimo e addirittura con qualche biglietto da visita di coach in tasca”.

Studiare e giocare è molto impegnativo” racconta Mattia Pastore “ma negli Stati Uniti il sistema è molto diverso dal nostro. Si studia di meno, ma si studia meglio. E poi, le università offrono molte agevolazioni a chi le rappresenta sportivamente, come la possibilità di avere flessibilità su date e tempi degli esami, le ripetizioni gratuite e un’assistenza dedicata. In altre parole, se ci si impegna davvero ce la si fa tranquillamente, ed è un’esperienza bellissima. Gli studenti-atleti, durante il loro periodo di permanenza nella squadra seguono i corsi e partecipano ai campionati allo stesso tempo. La NCAA regola l’impegno sportivo limitando a otto ore alla settimana il numero massimo di ore di allenamento o gioco settimanali che il giocatore deve garantire, ore che salgono a venti durante la stagione agonistica. Un bell’impegno, ma fattibile”.

Bisogna fare anche attenzione alla scelta dell’Università” aggiunge Federico Terreni, ex 2.4 e giocatore dello Young Harris College in Georgia. “La mia Università era meravigliosa, con una struttura all’avanguardia e dodici campi da tennis bellissimi, biblioteca e dormitori, tutto quello che veniva messo a disposizione dei duemila studenti era ai massimi livelli. Ma si trovava anche in un posto molto isolato e io, unico italiano, non avevo la possibilità di spostarmi se non con la squadra per le gare. In più essendo nel sud degli Stati Uniti non ha mai avuto campi coperti, ma ora il clima è cambiato per cui spesso ci capitava di … spalare la neve prima di giocare! Ecco perché è sempre meglio affrontare seriamente il percorso di selezione e andare sul posto prima. Anche l’aspetto accademico è importante. Se, come nel mio caso, l’intenzione è quella di avviarsi a una professione come quella dello psicologo, è meglio verificare subito come la laurea americana si integra con i risultati accademici italiani, altrimenti si rischia di vanificare i propri sforzi”.

E DOPO?

Appurato che ottenere una Borsa di Studio non è impossibile, e che sostenere il ritmo di uno Studente/Atleta è alla portata di una persona in gamba, rimane da capire se il gioco vale la candela, e cioè se alla fine del percorso di studi l’impegno viene ripagato. Che la risposta sia “si” appare scontato, che sia un  grande se non enorme invece è meno noto, e soprattutto ancora in pochi stanno ragionando correttamente sull’evoluzione del tennis Professionistico, e su quanto questo abbia a che fare con il college tennis. Proviamo a dare un contributo.

Per cominciare, I NUMERI.

Negli Stati Uniti si trovano cinquanta delle prime cento università migliori a mondo, e il tasso di occupazione dei laureati a un anno dalla fine del percorso di studi è prossimo al 100%. Il salario minimo di ingresso è in media quattro volte superiore a quello dei loro coevi italiani, e il loro tasso di disoccupazione irrilevante. I canali di sbocco dalle università sono pressoché infiniti, ed abbracciano il mondo delle aziende, le libere professioni, tutti i settori possibili. Chi si laurea negli Stati Uniti ha di fatto un grande futuro davanti a sé.

Non solo. Non molti sanno che fra i laureati che si candidano per le posizioni all’interno dei programmi per i giovani talenti, i tennisti sono quelli più ambiti dalle aziende.

Un concetto che l’Amministratore Delegato di una società appartenente al “Fortune 500” (l’indice delle 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato redatta dall’omonima rivista) ha sintetizzato in maniera mirabile: “Assumo tennisti ogni volta che posso. Sono i più preparati alla vita”.

Guardiamo il tennis dalla sua prospettiva. Un laureato che proviene dall’agonismo tennistico ha delle caratteristiche che le aziende moderne cercano con attenzione: grande cultura del lavoro, capacità di gestire le emozioni, abitudine a confrontarsi con le sconfitte e le vittorie.

Inoltre, come Studenti-Atleti hanno sviluppato abilità rare nei loro coetanei e preziose nel mondo del lavoro: time management e multitasking.

E’ dello stesso avviso Paola Vezzaro, Group Talent Director Global Regions di Engie, e International Talent Director. “I laureati che hanno fatto un’attività sportiva di alto livello aggiungono al loro curriculum un’esperienza differenziante che ha permesso loro di sviluppare competenze quali la resilienza, l’impegno, la disciplina. Se lo sport è di gruppo, anche lo spirito di team. Credo che un’esperienza all’estero (USA inclusi) sia un’ottima opportunità da cogliere. Il timore è umano, ma il ritorno dell’investimento è sempre positivo. Il confronto con realtà diverse permette di sviluppare una maggiore consapevolezza personale e un’apertura mentale che difficilmente si riesce a sviluppare se si vive in un solo paese. Si tratta in ogni caso, di un periodo della vita temporaneo che permette il rientro in Italia se desiderato. Inoltre, gli studenti italiani che studiano all’esterno dopo gli studi all’estero, sono aperti ad andare nel paese che offre le migliori opportunità professionali, e ad oggi l’Italia è raramente in testa alla classifica”.

E gli effetti si vedono. “Tutti i miei ragazzi” racconta Claudio Pistolesi, “dopo il College hanno avviato carriere fantastiche. Alcuni lavorano a Wall Street, altri sono nella Consulenza Manageriale, altri ancora sono diventati Psicologi, medici, tutti hanno trovato la loro strada.

E non è tutto. Non va dimenticato che le Università americane hanno ottimi programmi di formazione sportiva, e producono professionisti nei settori della preparazione atletica, della fisiatria, della medicina agonistica, tutte discipline che offrono ampi sbocchi nel mondo sportivo universitario e professionale.

Due mondi al posto di uno, anzi tre, ed è la sorpresa che non ci si aspetta, e sulla quale ancora pochi hanno riflettuto.

Agli US Open appena conclusi, e anche nei tornei precedenti delle US Series, Ben Shelton e Christopher Eubanks hanno rubato l’occhio degli spettatori salendo alla ribalta del tennis che conta.

Sono le young guns americane, le giovani promesse, ma al di là dell’età hanno fra di loro in comune una cosa che li accomuna ad altri pro come John Isner, Danielle Collins, Cameron Norrie, Jennifer Brady, Mackenzie McDonald, Maxime Cressy, Marcos Giron, Brandon Nakashima e molti altri prima di loro, primo fra tutti Kevin Anderson: sono giocatori di College Tennis.

Il fatto è” spiega Pistolesi “che la situazione oggi è molto più vantaggiosa per gli Studenti-Atleti rispetto al passato. Tanto per cominciare, la maturità fisica arriva molto più tardi rispetto ai miei tempi. Becker vinceva Wimbledon a diciassette anni e a trenta si era pronti per il ritiro. Per cui se finivi di studiare a ventidue anni, avevi di fatto già perso il treno del professionismo. Ma oggi si matura fisicamente a ventisette anni, e si rimane competitivi fino a trentacinque se non oltre, il che significa che per esordire nel circuito a ventidue, quando il college finisce, non è affatto tardi. Inoltre, il livello tecnico delle competizioni di college si è elevato per effetto dell’ingresso dei ragazzi stranieri, forti e motivati, e con esso la qualità media dei giocatori e delle giocatrici. Un match di college tennis oggi ha poco da invidiare a quello di un ATP500, lo sforzo fisico richiesto nell’anno è simile, ecco perché i College Players si adattano così facilmente alla vita dei Pro”.